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Mario PapadiaPubblicato10 Novembre 2020
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APPUNTI E CRONACHE

Il trumpismo, rivoluzione negazionista del nostro tempo

Come tutti i personaggi che, per una convergenza di coincidenze, incarnano lo spirito della propria epoca, anche Donald Trump è la rappresentazione sublimata del suo tempo. È avvenuto così per Napoleone, Hitler, Stalin, Augusto, Roosevelt, Voltaire, Leonardo, Mozart, Einstein, e tanti altri, ognuno nel suo campo.  
È difficile stabilire, per questi personaggi, se e quanto sono figli del loro tempo, o se invece ne portano a maturazione le caratteristiche proprio con la loro azione. Ma comunque è pure il nostro tempo e quindi in qualche misura anche noi ne siamo impregnati un po’ del suo trumpismo. E difatti esiste un parallelismo impressionante fra alcune caratteristiche più tipiche del nostro tempo e la personalità di Trump, la sua azione politica, e le motivazioni teoriche di essa.   
 
In questi quattro anni egli ha dominato la scena mondiale con la sua anarchia individualista, la totale aschematicità delle scelte, l’uso strumentale della democrazia, la negazione di tutto ciò che non è lui o un suo interesse, l’elevazione a sistema dello spirito di contraddizione e la negazione che ha esaltato la sua propensione a sentirsi isolato, insidiato, complottizzato. Teorico dell’isolamento, non ha perduto un’ora del giorno per mantenersi agganciato con il resto del mondo tramite la comunicazione globale dei social e facendo tanto rumore da non poter mai essere dimenticato.
 
Sono gli aspetti che più caratterizzano la rivoluzione dadaista del nostro tempo, contraddistinto da un certo serpeggiante pervasivo bullismo sociale: la globalizzazione dell’egoismo, lo scetticismo verso la democrazia, la diffidenza fino alla paranoia (anche se poi paradossalmente mette a nudo la propria intimità), l’esibizione anche invelenita di sé stessi come testimonial della propria verità, la negazione della buona fede verso ogni affermazione che provenga da una autorità per il solo fatto che è tale.   
 
Si dice, giustamente, che se Trump ha ricevuto ben 70 milioni di voti, deve pure aver interpretato esigenze di molta parte della popolazione del suo paese. Certamente ha portato vantaggi ai suoi seguaci. Senza dubbio, anche Hitler era inseguito dalle sue folle e ha dato una forte spinta all’industria degli armamenti tedesca. Salvo poi a buttarla nella guerra, insieme con i suoi compaesani (e tutto il resto del mondo innocente, in primis gli Ebrei).
 
Trump non è Hitler, perché anche il nostro tempo è un altro. Ma lui si è fatto portavoce di una concezione negazionista e distruttiva di ogni patto della convivenza sociale, e sulla base di una tesi precostituita, indifferente ai fatti.  Si rifletta alla sequenza di questa sua pertinacia contro il risultato elettorale: già prima delle elezioni aveva detto che il voto postale sarebbe stato fonte di brogli; e ora farà ricorsi alla ricerca di brogli, sulla base del pregiudizio che per forza essi ci dovrebbero essere. In sintesi: la sua affermazione previa precostituisce la verità di quanto poi succede nei fatti, in barba ai fatti.
È ben altro che un atteggiamento infantile, come alcuni hanno scritto. È il complottismo che pretende di divenire sistema.

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